Si respira il clima pettegolo e intrigante dei salotti della media borghesia fiorentina di inizio Novecento, in particolare di quella bottegaia, arricchita, ma tuttavia sempre ignorante quanto esibizionista.
Gallina vecchia, testo dolce-amaro uscito nel 1911 dalla penna dell’autore di Acqua cheta, offre, dunque, il sapido ritratto di un’Italia provinciale e un po’ comica, ipocrita e dissimulatrice, precorrendo, con la sua velata malinconia e il suo divertimento schietto, quella commedia all’italiana che tanto successo ebbe negli anni Cinquanta e Sessanta.
La ricerca incessante della gioventù e della paura della bellezza che sfiorisce sono i temi dominanti della commedia.
Nunziata, la protagonista, è nel momento delicatissimo del passaggio dalla maturità alla vecchiaia.
Trucco eccessivo, vestiti civettuoli, gioielli vistosi, modi da femme fatale sono gli espedienti usati per mettere in scacco il tempo che scorre inesorabile e tentare di conquistare un ultimo sogno d’amore.
Un sogno che l’attempata signora è disposta addirittura a comprarsi, facendo bella mostra di poderi, case e denaro.
Tutto, insomma, diventa lecito per conquistare lo sfaccendato e tenebroso Ugo, qui interpretato da un eclettico Renzo Montagnani, o meglio per sottrarlo alla fidanzata, una brava ragazza di modeste condizioni economiche.
Ecco così un veloce susseguirsi di piccoli intrighi di denaro e sentimenti, raccontati con una vena malinconica che non trattiene la risata e molto toscanamente si colora di macchiaiolo.
Gallina vecchia, «commedia della vita, la vita che ci passa accanto ogni giorno, e che ogni giorno viviamo, nella consapevolezza del tempo che vola, della gioventù che ci lascia, del tramonto che, prima o poi, arriva per tutti».